Il problema legato all’approvvigionamento dei materiali
La tracciabilità delle materie prime e dei prodotti è un tema cruciale per tutte le aziende. L’industria della moda è uno dei settori che più contribuisce alla crisi legata al cambiamento climatico, generando circa l’8% delle emissioni di gas serra nel mondo, soprattutto durante la fase di approvvigionamento dei materiali. Oggi, grazie a etichette più evolute, sistemi computerizzati all’avanguardia – quali QR code e tag RFID – e normative a supporto della trasparenza è possibile avere un quadro più ampio e affidabile dell’approvvigionamento e la produzione delle materie prime. Esiste una distinzione di fondo tra tracciabilità e rintracciabilità, che interessano due fasi differenti del processo di produzione: la tracciabilità riguarda più nello specifico l’individuazione delle varie fasi di preparazione e commercializzazione; la rintracciabilità interessa prettamente il prodotto finito, e la possibilità di andare a ritroso nel tempo per individuare i dati informatici e i dettagli riguardanti le singole fasi di trasformazione dei materiali.
I rischi legati ad una scarsa trasparenza e come evitarli
Al giorno d’oggi i brand di moda non possono prescindere dall’affrontare la questione dell’approvvigionamento etico e trasparente se si considera il settore in un’ottica sostenibile. Infatti, proprio nella fase iniziale di produzione si determina il maggior impatto ambientale. Ciò avviene perché spesso i marchi faticano ad ottenere informazioni dettagliate rispetto alla provenienza e ai metodi di estrazione delle materie prime, a causa di una scarsa regolamentazione legislativa in materia. In questo senso, la tecnologia può venirci incontro contribuendo in modo concreto ad aiutare il settore moda ad alterare le tendenze negative che lo hanno portato a diventare uno dei più inquinanti. Individuare e seguire la storia produttiva a cui è stata sottoposta una determinata fibra e tracciando ogni passaggio della filiera si evitano frodi, alterazioni nella sua registrazione e si determina l’impatto della sua “impronta” ambientale. Inoltre, vengono così combattuti fenomeni di sfruttamento dei lavoratori e della manodopera artigiana, soprattutto in quelle produzioni delocalizzate nei paesi in via di sviluppo. La tutela dell’ambiente, infine, è valutata sulla base di dati reali, e non solo di marketing, come avviene nella maggior parte dei casi in cui i marchi dichiarano di sottostare a principi di sostenibilità quando non in realtà non è così.
Il Global Fibre Impact Explorer: cos’è e a chi è dedicato
Ideata nel 2019 combinando la tecnologia di Google, in collaborazione con il WWF e l’associazione no profit Textile Exchange, il Global Fibre Impact Explorer è una piattaforma che vuole aiutare i marchi di moda, grandi o piccoli che siano, a scegliere le proprie materie prime in modo più informato e consapevole, senza l’ausilio di intermediari o specialisti nel settore. La vera innovazione che differenzia questa piattaforma dagli altri strumenti di tracciamento è la possibilità, per le aziende, di procedere direttamente all’analisi dei dati e dei rischi ambientali in riferimento a più di venti tipi di fibre differenti, sia naturali che sintetiche. Distinte a seconda della zona territoriale, le fibre ad alto rischio ambientale sono classificate sulla base di cinque criteri: inquinamento atmosferico, impatto sulle foreste, biodiversità, emissioni di gas serra, e consumo di acqua.
La tecnologia a servizio della moda
Presentato in occasione della Conferenza ONU sul cambiamento climatico numero 25, il Global Fibre Impact Explorer unisce il know-how tecnico di Google all’esperienza in materia di conservazione ambientale del WWF. Il servizio si serve della piattaforma Google Earth Engine Explorer (EEE), un visualizzatore di dati per immagini geo spaziali, tramite il quale è possibile avere una panoramica di qualsiasi luogo della terra e analizzarne le caratteristiche per raccogliere un insieme di dati che prima della digitalizzazione dei contenuti e il tracciamento in modalità open source sarebbe stato impossibile ottenere, poiché poco chiari oppure resi inaccessibili. Allo sviluppo di questo strumento hanno partecipato inoltre la designer Stella McCartney e colossi del fast fashion tra cui Adidas, H&M e VF Corporation, azienda di abbigliamento americana. Una delle ideatrici del progetto è Maria McClay, direttrice del Fashion and Beauty di Google Cloud; conosciuta a livello globale per aver lavorato per oltre dieci anni da Gucci, collabora con marchi che operano sia nel settore della moda sia nel beauty, in un’operazione di anticipazione dei trend e delle aspettative dei clienti, sfruttando le capacità del settore high tech.
Il coinvolgimento dei brand e il rilascio dei dati legati alla blockchain
Ma come funziona il Global Fibre Impact Explorer al lato pratico? La prima versione del servizio utilizza il motore di Google Earth e la rete Google Cloud; ciò che viene chiesto ai brand è di caricare il loro portfolio di tessuti specificando le eventuali certificazioni, il volume misurato in kilogrammi, il loro Paese e regione di origine. Una volta ottenute queste informazioni Google utilizza algoritmi analitici per fare riferimento a questi dettagli rispetto alla produzione di fibre. Sono considerati dall’algoritmo: valutazioni di governance, dati di rischio ambientale, dati da Google Earth Engine, e input provenienti da terze parti tra cui la Banca Mondiale e l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Il risultato è un punteggio di rischio olistico che viene generato sulla base dei dati forniti per una data regione e fibra. La valutazione complessiva del rischio per ogni categoria si concretizza in un risultato finale il cui range va da basso a molto alto; ciò che viene mostrato da Google in ultima analisi del processo è l’impatto ambientale generato dall’approvvigionamento di tali risorse e il modo attraverso il quale poterlo ridurre.
Il case study Stella McCartney
Nel novembre 2021 l’associazione non governativa Textile Exchange ha assunto la proprietà dell’accesso alla piattaforma a livello di settore moda, annunciando i primi risultati ottenuti nel case study del brand di lusso Stella McCartney, che ha adottato una strategia di approvvigionamento sostenibile. Sulla base dell’analisi del suo portafoglio di materie prime, lo strumento ha identificato fonti di cotone in Turchia che devono affrontare numerosi rischi; grazie al servizio fornito da Google è stato permesso di raccogliere dati relativi alla loro salute per poi paragonarli a quelli provenienti da Buyuk Menderes, regione a Ovest del Paese che sta attraversando una grave crisi idrica. La soluzione presentata è stata quella di fornire una lista di aziende turche che stanno investendo nella produzione di cotone rigenerativo, affermando la necessità di investimenti nelle comunità agricole locali incentrate su tali pratiche, che includono una più consapevole gestione dell’acqua e rigenerazione del suolo.
Aspettative future e nuovi progetti
Ad oggi gli organismi di certificazione che partecipano al Global Fibre Impact Explorer sono Control Union, USB Certification, IDFL, Intertek e Bureau Veritas. Dopo un promettente successo scaturito da questi progetti pilota, nel futuro si auspica la creazione di programmi di ridimensionamento per facilitare un’implementazione concreta dello strumento ad un livello commerciale più ampio, e di coprire gli standard relativi alle fibre animali.
Article by Martina Tondo